domenica, Ottobre 13Città di Vittoria
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Riprendiamoci le tradizioni: “La festa dei morti”

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di Paolo Monello

Come assessore alle Tradizioni, mi riservo di proporre quanto prima iniziative specifiche sulle tradizioni vittoriesi, legate a ricorrenze cicliche come la Vendemmia, “I Morti” (2 Novembre), San Martino (11 Novembre), Santa Lucia (13 dicembre), e poi ancora Natale, Carnevale, San Giuseppe, Pasqua e San Giovanni.
Quest’anno si è cominciato con la Vendemmia (manifestazione di buona riuscita ma da perfezionare nei contenuti e nelle modalità di svolgimento) e fra pochi giorni saranno appunto “I Morti”. Io vorrei affrontare il tema, collegandolo al “Mangiare di festa”, cioè ai cibi collegati alle festività che scandiscono il tempo sacro ma anche il tempo profano. Seppure lentamente, stanno affluendo alcune ricette al sito info@vittoriacultura.eu e parecchie brave cuoche mi hanno già contattato per sapere come fare a darci le ricette, spesso tenute in mente e tramandate oralmente.
L’oralità però non basta. Per preservare il considerevole patrimonio gastronomico che Vittoria possiede, occorre scriverle le ricette, con le quantità e con le modalità di confezionamento delle pietanze.
E’ una cosa nuova -me ne rendo conto- e di difficile realizzazione ma siamo persone pazienti e a poco a poco la cittadinanza si renderà conto dell’utilità della proposta dell’Amministrazione Comunale, per farne momenti di sagre o un volume dal titolo “Vittoria a tavola” ed altro. Inoltre a Vittoria c’è anche un Istituto Alberghiero, con cui mi appresto a prendere contatti. Ma di questo parleremo in seguito. Per ora mi voglio limitare a parlare della ricorrenza più immediata, cioè quella de “I Morti”, di cui riporto una breve storia, ripresa da una bella pubblicazione di Gaetano Basile e Anna Maria Musco Dominici, dal titolo “Mangiare di festa. Tradizioni e ricette della cucina siciliana”, Kalós 2103. Ecco cosa i due autori scrivono sul 2 Novembre:
«Fin dai primordi della civiltà il culto dei morti ha accompagnato l’umanità. Non c’è popolo che non abbia onorato, commemorato, rispettato i defunti: il diverso modo di esprimersi è soltanto manifestazione distintiva per cultura, tradizioni, costumi, religioni. In Sicilia il culto dei morti poco differisce dal tempo degli avi greci e romani che sulle tombe dei loro defunti portavano corone di fiori, pane inzuppato nel vino e dolcetti di miele, mentre tutt’attorno si spargeva farina con un pizzico di sale e si banchettava pure allegramente. Ma solo in occasione del compleanno del defunto. Per i romani fu quello il “refrigerium”. Più tardi pure i cristiani onorarono i loro morti nelle catacombe. Nell’identica maniera. Solo nel IV secolo la Chiesa proibì quei riti definendoli pagani. L’uso di commemorare i defunti è medievale, copiato dal rito bizantino che prevedeva un ufficio in loro suffragio, con l’eucaristia “pro requie defunctorum”.
Il convito funebre passò nell’àgape cristiana: banchetto d’amore e di carità, detto anche pane del dolore e calice della consolazione. Tali conviti si celebravano nei pressi dei sepolcri degenerando in veri e propri festini, spesso pure licenziosi a causa delle abbondanti libagioni. Difatti saranno vietati da Sant’Arnbrogio e dal Concilio di Cartagine.
Da qualche anno è sbarcata da noi la festa di Halloween, che americana non è. Deriva dal “Samuin” celtico, quando, nelle fredde notti d’Ognissanti, si aprivano le tombe ricoperte di fiori e “i morti si mescolavano ai viventi” in una veglia-festa orgiastica in cui si mangiava, ma soprattutto si beveva smodatamente. Si suonava e si cantava mentre si dipingevano i teschi custoditi negli ossari. Eco di quegli antichi riti fu la notte di Halloween, come si chiamò in Irlanda, da dove poi varcò l’oceano per approdare negli Stati Uniti. Ma in forma diversa, perché i ragazzi si mascherano da scheletri o fantasmi, mimando il ritorno in terra dei defunti. Girano di casa in casa chiedendo piccoli oboli e dolcetti e se non li ottengono imbrattano finestre o vetrine con la saponata. Sono usi che non ci appartengono e non è certo il caso di imitarli giacché non sono neppure divertenti.
Fino a pochi anni fa si facevano trovare ai più piccoli, in angoli remoti della casa, dei giocattoli messi lì apposta dai Morti. Si usava ancora il “cannistru”, un canestro colmo di primizie: le prime arance, le pere d’inverno, e pure fichi secchi, mandorle e nocciole, datteri, tanti “mustazzuola”, detti anche “ossa di morto”, la “petrafennula” avvolta in carta colorata, con l’immancabile “pupaccena” di zucchero troneggiante su tanta “frutta di martorana”.
L’indomani migliaia di ragazzini sciamavano per i viali dei cimiteri per andare a ringraziare quei parenti morti. Come buone maniere imponevano…
Ricordiamoci che i Morti sono una cosa seria: ci hanno dato la vita e continuano a starci accanto, pronti sempre a esaudire le nostre richieste. Come ci hanno insegnato». Che dire di più? 

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