sabato, Luglio 27Città di Vittoria
Shadow

b) S. Antonio Abate

Share Button

 

La chiesa di Sant’Antonio Abate.

All’altezza della via Magenta, ci si imbatte nei ruderi della antica chiesa di Sant’Antonio Abate, oggi parzialmente restaurata insieme con i locali adiacenti. La facciata ha caratteri notevoli: un elegante portale (che nel corso degli anni ha perduto via via grossi conci di pietra) «…fornito di una cornice lobata, sormontata da due spioventi e marcata da due volute a chiocciola» (Marco Marangio)1. La chiesa ha una curiosa struttura ovale interna e gli eleganti ornamenti che ancora resistono alle intemperie ci attestano che, pur piccola e povera, essa aveva una sua composta bellezza2. Pur non potendo stabilire con esattezza la sua data di nascita, un quartiere di Sant’Antonio esisteva già a Vittoria nel 1638, con ben 96 case e 80 proprietari. Il quartiere occupava un’ampia fascia di terra compresa tra l’attuale via dei Mille (antica strada per Scoglitti) e l’attuale via Calatafimi, a cominciare dall’attuale via Magenta (anticamente via di Sant’Antonio, appunto). La certezza di un suo funzionamento completo ce la dà al solito il registro parrocchiale dei defunti, che attesta la prima sepoltura a Sant’Antonio il 2 giugno 1647, in periodo di grave mortalità per carestia. Secondo La Barbera, nella sua visita pastorale del 1651, il vescovo di Siracusa, mons. Giovanni Antonio Capobianco (1649-1673) trovò nella chiesa solo due altari: quello maggiore e l’altare degli Agonizzanti. La China riferisce che nella chiesa nel 1662 risultava esistente «la Congregazione sotto titolo la Santa Opera degli Agonizzanti» e che in essa si officiò «sino al 1860 a un dipresso e attualmente [cioè nel 1890] trovasi diruta». Nell’elenco delle feste (1799-1827) vi è registrata solo la festa di S. Antonio il 17 gennaio. Poiché la scelta dei santi cui dedicare le chiese dovette sempre essere meditata, oltre che per l’origine dei coloni3 (in tal caso sarebbero stati ragusani, perché Sant’Antonio o Antonino era assai venerato a Ragusa), si potrebbe anche propendere per scelte -diciamo così- legate ad una “protezione a tutto campo”. Se San Vito (terzo culto introdotto a Vittoria nel 1620) si curava degli uomini e in special modo di tutte le malattie legate a comportamenti incomprensibili (”spirdati”, “scantati”, “attarantati”, “arragghiati”), il quarto santo cui i Vittoriesi dedicarono la loro devozione aveva il suo dominio sugli animali. Maiali, cavalli, asini, muli: tutti erano sotto la sua protezione. Animali che costavano quanto una casa (10 onze una casa e 8-10 un mulo nel 1638!) e che in caso di morte nei canti popolari venivano pianti più di una moglie o di un figlio! La devozione per questo Santo è dimostrata dalla frequenza fortissima (centinaia e centinaia) dei nomi Antonino e Antonina registrati fra i Vittoriesi nel Sei-Settecento4. Probabilmente anche la corsa degli asini che si faceva nella via Sant’Antonio (oggi Magenta) a partire dalla Senia per proseguire poi lungo la trazzera di San Giuseppe lo Sperso, testimoniata da La China fino al 1860, era in qualche modo legata ad un’antica devozione per l’Abate Antonio il Grande5. Con San Biagio (come vedremo tra poco), San Vito e Sant’Antonio costituivano una potente triade di santi guaritori.

La chiesa col passare del tempo, da pubblica divenne privata e risulta essere sotto il patronato della famiglia Terlato, che abitava accanto ad essa, sin dal 1680. Tra i numerosi documenti notarili del periodo 1653-1682, un solo atto riguarda la chiesa di Sant’Antonio. Il 22 novembre 1680 «Vito Terlato alias Rosella…considerando…nel suo cuore la ingente e veemente devozione che sempre ebbe ed ha verso la Venerabile Chiesa sotto titolo di Sant’Antonio Abbate…, volendo la predetta devozione in parte in segni esteriori dimostrare e manifestare…decise di fare il seguente dono alla stessa Venerabile Chiesa. Per questo oggi…dona alla stessa Venerabile Chiesa…e per essa ai suoi procuratori…una casa terrana nel quartiere della stessa chiesa, confinante con casa dei coniugi Panascia, casa di Mario Civello, orto della Venerabile Chiesa, strada pubblica ed altri…». Vito Terlato6 fu sepolto nella chiesa nel 1692 (e da allora fino al 1837 vi furono sepolti numerosi altri membri della famiglia). Sulla chiesa, altre notizie vengono dai riveli, con due donazioni di case ed orti: una del not. don Francesco Ottaviano (1729), l’altra di un tale Blasio Vicino.

Nel 1748 «il sac. don Giovanni Terlato come Procuratore della Venerabile Chiesa di Sant’Antonio Abbate» dichiarò che la chiesa possedeva «un tenimento di case terrane consistente in quattro corpi7 collaterali esistente nel quartiero di detta Chiesa conf. con case di not. Biaggio Terlato, e casa di Antonino Pulino, e del loghiero annuale si ne deveno altre tante rispettive messe, e la sopradetta chiesa non ne ricava utile veruno. Più possiede altro tenimento di case terrane in tre corpi esistente nel quartiero di S. Gio. Batta conf.e con case di don Gabriele Migliorisi e casa del rev. don Giovanne Scrofano con obbligho di far celebrare tante messe ogn’anno per quanto rendiranno. Di più esige tarì dieci sopra un orto che tiene a censo il notaro Biaggio Terlato con l’obligho di farli celebrare altre tante messe». In più aveva rendite annuali sullo stesso orto e su un’altra casa pari a onze 10 e tarì 13. Tutte entrate che non bastavano neppure a pagare il sacrestano e la cera per i lumi davanti agli altari…Eppure i Terlato erano molto ricchi (il sac. don Giovanni nello stesso rivelo del 1748 dichiarò beni per onze nette 840, mentre il notaio Biagio Terlato appena 49). In ogni caso ancora nel primo trentennio dell’Ottocento, oltre ad occuparsi della chiesa di Sant’Antonio (di cui facevano celebrare il 17 gennaio la festa), si occupavano pure della chiesetta di Santa Rosalia, pervenuta in loro possesso. Questa la situazione nel catasto del 1851, lungo la via Sant’Antonio oggi Magenta. In primo luogo, la chiesa di Sant’Antonio, con la sagrestia al n. 14, con slargo evidenziato dalla mappa catastale del 1875. Accanto, il b.ne don Giuseppe Antonio Terlato possedeva tredici stanze terrane ai nn. 15-16, un orto secco e tre stanze dentro l’orto. Abbandonata come abbiamo visto sin da prima del 1860, i suoi locali ospitarono dal 1862 al 1864 la neonata Società Operaia di Mutuo Soccorso, poi trasferitasi nell’ex Oratorio della Confraternita delle Stimmate di San Francesco d’Assisi, al piano terreno del convento della Grazia (oggi è la Società Operaia di Mutuo Soccorso “Ferdinando Jacono”). Palmeri scrive che nel 1927 i Terlato acquistarono dal Comune la piazzetta antistante la chiesa, per una superficie di 158 mq.. Chiesa, case e piazzetta furono vendute nel 1982 alla Fondazione San Giovanni Battista di Ragusa, che a sua volta nel 2003 la donò alla Parrocchia di San Giovanni Battista di Vittoria.

Di fronte alla chiesa, un magnifico esempio di Liberty: la casa Spinella oggi Sannino al n. 83 di via Magenta (progettista Arcangelo Mazza, costruttori Lancia e Marrella, scultori Salvatore Battaglia e Emanuele Bucchieri, modellatore del ferro battuto Salvatore Garofalo, 1931).

 

 

NOTE

1] AA.VV. La Chiesa di S. Antonio Abate, Italia Nostra e Bapr, 2010.
2] Parti del pavimento erano in maiolica verde e blu.
3 Secondo la tradizione fondata da La China, San Giovanni sarebbe stato portato dai coloni chiaramontani o vizzinesi, mentre San Biagio sarebbe stato il santo dei coloni comisani. Si tratta proprio di una tradizione perché in primo luogo oggi sappiamo che San Giovanni fu imposto dalla fondatrice e ben prima che si sapesse quanti coloni chiaramontani o vizzinesi intendessero stabilirsi a Vittoria; in secondo luogo, il popolamento di Vittoria fu un lento stillicidio di genti provenienti da decine di paesi e città e persino da Malta, e non avvenne con massicci spostamenti di genti di un sol luogo in uno stesso tempo.
4 Pochi invece i Vito e pochissimi i Biagio, però.
5Antonio visse tra il 250 ed il 350 d.C.
6Sulla famiglia Terlato vedi Salvatore Palmeri in op.cit. Italia Nostra e Bapr 2010.
7Le case in quattro corpi collaterali sono quelle ancor oggi esistenti, a lato della chiesa, anch’esse, fortunatamente, restaurate.

 

 

Zoom
Contrasto