mercoledì, Dicembre 4Città di Vittoria
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a) Mercato dei Fiori

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Il Mercato dei Fiori.

Continuando lungo lo stradale, in una zona chiamata un tempo “Surdi” (contrada d’Indovina, dal cognome dei primi enfiteuti, tra i quali don Giombattista Indovina, il primo notaio di Vittoria dal 1614 al 1629, detta in seguito anche “delli Catalani”). Nella contrada, estesa 33 salme, tra Sette e Ottocento vi possedevano terre appunto le famiglie Catalano, Mangione, Lio, Biazzo, Cicerone etc. ed anche la Venerabile Cappella di Santa Maria del Monte Carmelo in San Giovanni. Oggi vi sorge il Mercato dei Fiori, destinato originariamente ad ospitare il nuovo mercato ortofrutticolo (deliberato sin dal 1960), per toglierlo dalle strettoie di Piazza “Giacomo Matteotti”, dove rimase fino al 1961. Ma la realizzazione della struttura tardò e quindi nel 1962 si decise di ubicare “provvisoriamente” il mercato nella contrada Terrepupi, in strutture precarie di lamierino (oggi via Giuseppe Di Vittorio).

 


Box. Le produzioni ed il paesaggio agrario nella storia. L’invenzione della serricoltura.

Sin dalla fondazione, nelle campagne della nuova Terra furono impiantate colture specializzate. Nella valle del fiume di Cammarana, sin dalla fine del Quattrocento, sono attestati “giardini” cioè agrumeti[1] e fibre tessili (canapa, lino, orbace) nelle zone irrigue dette appunto “Cannavate” dalle coltivazioni di canapa, anche se in seguito il termine “cannavate” indica semplicemente zone irrigue. Ma la nuova Terra di Vittoria nacque soprattutto per produrre vino e lo sviluppo del vigneto fu subito travolgente[2] (vedi box). Vittoria nacque per mettere a coltura le terre rimaste fino ai primi del Seicento non toccate dalle censuazioni della seconda metà del Cinquecento.
A poco a poco, nel corso dei decenni, le grandi contrade dette Giummarito e Scalunazzo furono spezzettate in decine di nuove denominazioni e piantate a vigne, frumento forte, tumminia[3] e cicirello, olivi e carrubi, mentre nelle terre della valle si sviluppavano ulteriormente le fibre tessili, l’orzo, gli agrumeti, la produzione di giurgiulena (sesamo), scerba (soda) e a metà dell’Ottocento il riso, nelle terre paludose della Buffa e della Salina. Nelle chiuse e fra le viti, furono piantati numerosi alberi da frutta. A fianco degli antichi melograni della valle nacquero numerosi alberi di fico, noce, mandorlo, pero e nel 1748 comparvero anche ortaggi seccagli in contrada Surdi e i primi fichi d’India (ficupali) a Fanello. Testimonianza indiretta della rinomanza di Vittoria nella produzione di ortaggi è un componimento di mastro Natale Lo Gatto[4], risalente al 1667, in cui si osannano i cetrioli prodotti a Vittoria…Altre produzioni attestate nella documentazione sono: la seta (solo nella prima metà del Seicento), prodotta dai bachi nutriti con foglie di gelso e lo zucchero, prodotto nel grande impianto di Bosco Rotondo, nelle terre poi dette Cannamellito (vedi box).   

Per quanto riguarda il vino, si può parlare di cerasuolo imbottigliato solo dagli anni ’50 del Novecento in poi[5].
Dopo la gravissima crisi della fillossera, iniziata nel 1886 e durata per anni, con la distruzione quasi totale del vigneto vittoriese, la monocoltura del vigneto fu spazzata via e cominciarono ad essere introdotte altre coltivazioni. La prima ad essere introdotta e ad avere un destino fortunato, al punto da farne quasi il simbolo di Vittoria, dopo il vino, fu il pomodoro. Di esso non c’è traccia prima degli anni ’90 dell’Ottocento. Per l’esattezza, Orazio Busacca nelle sue Effemeridi parla di pomodoro prodotto a Vittoria solo dal 1893, venduto nel mese di giugno di quell’anno e di estratto di pomodoro (venduto nel magazzino della Società Operaia di Mutuo Soccorso nello stesso anno), di cui però ignoriamo la provenienza[6]. Le prime terre in cui fu impiantato il pomodoro furono quelle della famiglia Denaro[7] in contrada Anguilla, da dove poi si diffuse in tutta la fascia costiera, soprattutto dagli anni ’20 del Novecento.
Però già negli anni Dieci del Novecento a Vittoria operava “La Camarina”, industria di trasformazione del pomodoro e di pesce azzurro in genere sotto sale. Nel 1935-1936  in provincia risultano impiantati a pomodoro 915 ettari, con una produzione di 164.000 quintali, seconda solo a quella agrigentina. Quasi tutta la produzione è concentrata a Scoglitti (Anguilla e Lucarella) e nello Sciclitano. Man mano che il vigneto declinava, specie lungo la fascia costiera e poi anche nell’interno, oltre alla coltivazione di pomodoro, se ne erano sviluppate altre (fagiolini, piselli, sedani, carciofi), chiamate tutte insieme “primaticci”. Il loro ulteriore sviluppo negli anni Cinquanta fu dovuto alle lotte del movimento contadino guidato dal Pci e dalla Cgil, che riuscirono a imporre -tramite il famoso “imponibile di mano d’opera”- grandi miglioramenti fondiari, con duri scontri di classe e forti scioperi, che portarono alla formazione di una piccola e piccolissima proprietà contadina, fatta di ex braccianti e compartecipanti.

A modificare ulteriormente la situazione fu un evento atmosferico imprevedibile: le terribili gelate del febbraio-marzo 1956, che distrussero vigneti e primaticci, gettando sul lastrico migliaia di produttori e di braccianti, ma causando anche un acceso dibattito sul che fare. E una delle soluzioni proposte fu un sistema di copertura delle produzioni con materiali vari. Accanto ad un esperimento in c.da Lucarella dei fratelli Areddia, con 1.200 mq coperti nel 1958, nel 1959 si arrivò a 2.400 mq. Protagonista primo fu un ex bracciante, di nome Pietro Gentile (1912-1971) che, venduta la casa, acquistò un pezzetto di terra a Punta Secca e vi impiantò una serra artigianale, costruita in legno e fogli di plastica (polietilene), come quelle che aveva visto assieme ad altri amici e compagni braccianti ad Albenga in Liguria (così mi raccontò un altro protagonista, Giovanni Di Stefano), raccogliendo pomodori a Pasqua del 1959, una cosa mai vista all’epoca, quando occorreva aspettare giugno per avere il pomodoro. Il suo esempio fu poi seguito da tanti altri piccoli proprietari, mentre subito la politica capì l’importanza dell’evento, con la presentazione all’Ars di una prima proposta di legge per l’erogazione di contributi. La nuova norma, presentata dall’on. Rosario Jacono (1925-2004) sin dal 1959, divenne legge nel 1964, e recò il nome dell’on. Feliciano Rossitto.
Nel frattempo, nel 1962, un ulteriore passo avanti per il diffondersi delle coltivazioni in serra fu dato dal nuovo e più vantaggioso contratto di compartecipazione. Fu così che la serricoltura, in provincia, passò dai 2 ettari del 1961 ai 2040 del 1970, ai 3.000 ettari del 1977 e poi ai 3.601 del 1979 etc. etc.

 

NOTE

1] In particolare aranceti e limoni (assenti i mandarini, introdotti in Europa dalla Cina nella prima metà dell’Ottocento)
2]Contrariamente a quanto si crede, il vigneto si affermò sin dal 1623, per espandersi in gran parte del territorio nel Settecento e diventare quasi una monocoltura nella seconda metà dell’Ottocento. Sull’espansione del vigneto, cfr. Paolo Monello, Breve storia economica di Vittoria. Dal vigneto alla serricoltura, in Giuseppe Areddia, …Per un itinerario illustrato dal vigneto alle serre, Città di Vittoria 2008.
3]Detto anche marzuolo.
4]Pubblicato da Serafino Amabile Guastella in Il Carnevale nell’antica Contea di Modica.
5] Il nome fu usato dal cav. Giuseppe Di Matteo nel 1950. Oggi è a D.O.C.G.

6]Il pomodoro, pur portato in Italia dal Nuovo Mondo nel 1548, impiegò quasi tre secoli per farsi accettare nelle mense popolari e rimase a lungo temuto ed usato solo come pianta ornamentale. La sua fortuna alimentare fu posteriore al 1839, quando a Napoli se ne sperimentò l’accoppiata sotto forma di salsa con la pasta, dando origine al piatto tipico più famoso italiano (sulla storia del pomodoro e degli altri vegetali importati dal Nuovo Mondo, cfr. Maurizio Sentieri-Guido N. Zazzu, I semi dell’Eldorado, Dedalo Edizioni 1992 e David Gentilcore, La purpurea meraviglia, Storia del pomodoro in Italia, Garzanti 2010). 
7]Tra i pionieri delle coltivazioni e per l’innovazione tendente a tenere sollevata da terra la pianta mediante l’impalatura, il signor Paolo Denaro (1897-1982) nel 1935 fu insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro da Mussolini

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