sabato, Aprile 27Città di Vittoria
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d) Il Fiume di Cammarana

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Le descrizioni antiche della valle. Il fiume di Cammarana.

Il primo a parlare della valle in epoca moderna fu Fazello che così scrive: «Alle sue rive il terreno è fertilissimo e produce in abbondanza messi e alberi da frutto d’ogni genere, specialmente cedri, aranci e meli di vario tipo, anche punici [melograni]»[1]. Subito dopo Fazello, La Restia nel 1604 ne descrive con pochi tratti le caratteristiche, scrivendo che al di sotto di Grotte Alte la valle era ricca di «l’aqua di xomari molini paraturi[2] et iardini».

Più ampia la descrizione di Paolo Balsamo, del 1808, che nell’affacciarsi dal Belvedere dei Cappuccini così scrive emozionato:

«Nel venire da Vittoria uno sperimenta la più dilicata illusione, avvengachè mirando verso la cava, non altro gli sembra di vedere, che una non interrotta pianura, terminata dalle colline di Comiso di varie figure, e grandezze e vestite diviziosamente di carubbi, di ulivi, e di altri alberi ora disposti in filari, ed ora collocati alla rinfusa, e nel più amabile disordine. E come  si appressa poi al margine della medesima, un profondo, largo, e rovinosissimo vallone da una parte nobilmente lo raccapriccia, e dall’altra soavemente l’incanta la gentilezza, la multiplicità, il rigoglio delle piantagioni, e coltivazioni, le quali ora si spiegano in maestosi gruppi, ed ora insieme col letto del rivolo leggiadramente serpeggiano, e fanno mille ornate curve, e graziosi andirivieni, e de’ quali appena può delinearne alcuno di più esquisito gusto la felice, e brillante immaginazione del Chinese».

Il “costruttore” del paesaggio è il fiume oggi classicamente chiamato Ippari, ma fino a metà Ottocento conosciuto con il nome di “fiume di Cammarana”. Così scrive Schubring:

«Le sponde del fiume Ippari sono vagamente coperte di cespugli, e gli aranci e i limoni crescono lunghesso il fiume. Che se pure si offrono alcuni tratti sterili e pietrosi (come tra Vittoria e S. Croce, e tra questa e Camarina, dove solo vegetano palme nane e cespugli), son questi tratti isolati che pur offrono sempre un pascolo sufficiente e tra i quali si torna sempre a vedere i campi di grano coi loro alberi di ulivo. I dintorni di S. Croce sono ricchi di lino, frumenti, olio e carrube; a mezzogiorno, verso il mare, si produce un buon vino. Son questi i prodotti della bella pianura; la quale tosto va salendo verso la catena de’ monti di Chiaramonte, Comiso, ne’ cui versanti prospera particolarmente l’ulivo». E sul fiume:

«Questo piccolo fiumicello deriva da tre sorgenti, la prima delle quali è a greco di Vittoria, nel mezzo della pianura, circa un miglio distante, in una contrada detta Bosco Rotondo; la seconda, un miglio a settentrione di Comiso, al piede della gran linea di montagne Chiaramonte-Comiso; la terza sgorga nella piazza di Comiso…acqua chiara e abbondante, la quale tosto si unisce col secondo braccio. Le prime due scorrono insieme tra Comiso e Vittoria, e da lì prende l’Ippari una direzione a libeccio sino alla sua foce. Scorre pittorescamente in un avvallamento fra rupi altissime, spesso si divide in piccoli rigagnoli, è coronato e vestito di canna palustre, allo stesso modo come tutta la valle, ed i bordi sono formati da cespugli. In giro cresce la più ricca vegetazione, compreso un gran numero di aranci e limoni. Questo avvallamento comincia quasi sopra Vittoria, dove il fiume in un tratto di poca estensione muove cinque mulini. Ma subito dopo questa città, il suo letto è soltanto 70 m. sul livello del mare, mentre il resto del terreno ha ancora un’altezza di 160 metri, e questi 70 m. egli percorre in una lunghezza di circa due miglia…». 

E Pace, nel suo Camarina

«Il maggior fiume, l’Ippari, costituisce con la sua valle, il nocciolo del territorio camarinese, denominato nel medioevo la Foresta di Cammarana e poi, per gran tempo, Boscopiano e Boscorotondo, nomi ora ridotti alla sua parte più a monte. L’Ippari ha ripreso da qualche secolo, per influenza erudita, il nome antico, datoci per la prima volta da Pindaro e ripetuto da parecchi altri autori. L’Ippari trae la sua origine, come suol ripetersi dal Fazello in poi, dalla ricca fonte che sorge nel mezzo dell’abitato moderno di Comiso, la quale fino a qualche secolo fa conservava il suo nome arabo di Favacchio, mentre ora ha ripreso, per influenza erudita quello antico di fonte Diana: Dianae fons. […]. L’origine dell’Ippari si trova però più a monte di questa, che è nondimeno la più illustre ed importante sua fonte, e va cercata in quell’altra scaturigine -di cui nulla giunge oggi al mare, distratta in altro corso e utilizzata dall’intensa irrigazione- che conserva i suoi nomi greco ed arabo di Cifali e Favarotta. Questi nomi significano entrambi “la fonte”, il secondo con dizione assai diffusa in forme identiche o affini nella toponomastica siciliana, il primo con rispondenza all’idea che le fonti fossero il “capo” -kephalé- dell’acqua (cfr. Erodoto, IV, 91). Alle acque di Cifali e Favarotta venivano a confondersi in antico quelle di Cannacapurali e di Cannicarao sulla sinistra, e sulla destra quelle che sorgevano nella bassa fondura di Cascalana. Arricchite quindi delle piccole fonti dei Margi[3], Acqua dei Parrini, Grotte, si congiungevano con l’acqua del Diana presso l’attuale stazione ferroviaria di Comiso, nel sito detto Acqua del Pomo. Da qui, incassato in un profondo ed ampio letto, il fiume può dirsi veramente tale. Esso procede raccogliendo le acque di altre fonti, quasi tutte scaturenti nell’alveo o nelle vicinanze immediate, per le località della Balatella, Cartera, Fratijanni, Passo del Piro…. Quivi confluisce un braccio destro, originato dalle quasi scomparse paludi del Biviere e dei Fondi di Perrotta, nel feudo di Mortilla, il quale correva attraverso le contrade Pedalino, Cicogne, Monacazza, Favaragghi, Oliviere, Niscima, Boscorotondo, Corallo, Fontana della Volpe, Passo Scarpari. Delle piccole fontane che scaturivano lungo questo percorso poche ne sussistono dopo il radicale disboscamento della piana, sicchè soltanto da Bosco Rotondo in poi è riconoscibile -in assai modesta apparenza- il piccolo corso del suo alveo. Il fiume passa quindi sotto Vittoria e poi per Cava Cammarana, Colorva, Torrevecchia, San Silvestro, Castelluzzo, Buffa, Salina, continuamente arricchendosi di piccole fonti fin presso la foce».

 

 

NOTE

1]Tommaso Fazello, Decades, 1560 tradotte in Storia di Sicilia, Edizioni della Regione Siciliana, 2 voll. 1990.
2] I paratori erano simili nel funzionamento ai mulini ma le ruote anziché far muovere una macina facevano muovere delle mazze (battinderia) che lavoravano le fibre tessili.
3] Questi quattro nomi sono di origine araba. Cannacapurali e Cannicarao (anche, nella parlata locale, Sciannacapurali e Sciannacarau) conservano la parola Ajn o Ayn; Margi è vocabolo frequente, per indicare sito acquitrinoso; del pari arabi sono i nomi di Favacchio, Favarotta e Favaragghi, da fawarah= polla d’acqua.

 

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