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a) Il Monastero nell’800

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Il Monastero della Sacra Famiglia nell’Ottocento

Poco o nulla si sa ad oggi della vita dell’edificio tra la fine del Settecento e l’anno del trasferimento della proprietà al Demanio dello Stato, nel 1867. Tra le carte dell’Archivio di Stato è contenuto il rivelo del Monastero fatto nel 1789, dal quale apprendiamo la consistenza dell’edificio all’epoca:

«Una casa grande solarata, o sia Monastero claustrato ed isolato con due dormitori con sue camere e con un camerone per uso delle Educande e di sotto con diverse stanze pelle scuole delle donzelle, sacristia, rifittorio, cucina, dispenza, magazino, ed altre commodità con suoi gisterna giardino… confinante con strade pubbliche, orto, o sia bocceria [italianizzato per vucciria] del dr. don Giobatta Mazza ed altri…»[1].

La China riferisce del grande sviluppo del Monastero, calcolando a 45 il numero delle collegine nel 1802, ma tale numero o crollò negli anni seguenti o risulta alquanto esagerato, perché nel 1813, al momento di assegnare lo scasciato, cioè l’indennità sostitutiva della cessata esenzione dalla tassa sul macinato, nel bilancio approvato dal Consiglio Civico il 1° agosto 1813 così si scrive:

«a n.ro 15 moniali del Monastero di S. Giuseppe per loro scasciato a tarì 15 per una…onze 7.15».

Addirittura poi nel 1832, nel momento in cui, per timore del colera, furono adottate alcune misure, tra le quali la realizzazione di un ospedale per gli eventuali ammalati del morbo, fu scelto in un primo tempo proprio il Monastero, chiamato “Collegio di Maria di San Giuseppe”, in considerazione «di esistere in un sito all’estremità della città e quasi isolato e di non esistere in quel collegio che tre sole convettrici, le quali con poco dissesto, e loro incommodo, potrebbero trasferirsi in quella precisa circostanza nell’altro collegio sotto titolo di San Biagio della medesima istituzione». Tale decisione fu però modificata nell’agosto 1835, a favore del convento dei Cappuccini, ancor più isolato. Infatti, non risulta a verità che il Monastero fosse così isolato. Attorno ad esso ormai si era consolidato un grande quartiere, che va dal Canale al Cozzo dell’Oro alla strada per la Bordoneria, attraversato dalla trazzera detta Senia di Foti (l’attuale via Castelfidardo, che a San Placido confluiva nella strada che porta a Biscari e Terranova).

Nel catasto del 1851, il Monastero è censito nella “Lettera D”[2], che comprende grosso modo la porzione dell’abitato dalla attuale via Cialdini alla via Gaeta ed all’incirca dal vico Beccheria (parte finale dell’attuale via IV Aprile) al vico Pachinello (via Cernaia), compresa tutta la parte oggi del centro lungo le vie Garibaldi (dalla piazza), via Ruggero Settimo (nel catasto via San Giuseppe), via La Marmora (San Paolo) e Fanti (via Grotta). L’allargamento dell’abitato verso San Placido e Biscari è facilitato dalla conformazione dei luoghi, perché lo sviluppo verso Comiso è bloccato dalla collina del Colledoro, che però a cominciare dal 1849 viene sventrata per prolungare la via Dascone (oggi Garibaldi) e farne la direttrice da congiungersi alla nuova strada provinciale per Comiso. Nel quartiere sono censite 1220 case terrane (il 25,94% del totale). Il Monastero è ubicato lungo la via Canale (oggi Gaeta) e così risulta registrato:

«Colleggio di San Giuseppe, stanza bassa ad uso di parlatoio al n. 45
Idem, 1° piano corridoio di otto stanze (di cui due dirute) al n. 45
Idem, 2° piano corridoio di tredici stanze (sei inabitabili) al n. 45
Idem, orto secco
Idem, chiesa e sagrestia al n. 46».
In tutto quindi 22 stanze, di cui ben 8 inagibili.

Il Collegio possedeva poi un palazzello formato da una stanza a pianterreno ed una a primo piano al n. 177 della stessa via. Adiacente al Monastero, al n. 49, il Conte di Modica possedeva un magazzino. Ma i nuovi tempi seguiti all’unificazione del 1861, con il bisogno finanziario dello Stato e un forte anticlericalismo, portarono alle leggi che espropriarono la Chiesa italiana di un immenso patrimonio. Tra essi, anche il Monastero di San Giuseppe, trasferito in uso al Comune[3] nel 1867. I locali furono variamente utilizzati. Così ne scrive La China a pag. 410:

«264-. Successivamente [all’acquisizione] si pensò, dall’Amministrazione Comunale, di destinare a locali scolastici elementari tutto il fabbricato di S. Giuseppe…Però nella facciata di esso Collegio vedonsi ancora murati, in mezzo la fabbrica, gli archi dell’antica casa palazzata di D. Giovanni[4] Gallo; archi, che anticamente trovavansi anche in qualche facciata di casa palazzata, come sarebbero: la casa del fu Barone D. Girolamo Bertoni (antica casa Giudice) e la casa degli eredi del Sig. Giacomo Carfì, antica casa Toro. In esso locale scolastico adunque, nella parte superiore, trovansi attualmente riunite…tutte le scuole elementari d’ambo i sessi, in numero di ventiquattro…»[5]. La China precisa nelle pagine successive che nella parte inferiore dell’edificio nel 1890 funzionavano l’Agenzia delle Imposte e l’Ufficio di Registro.

 

 

NOTE

1]Don Gio. Batta Mazza (1730-??) era figlio del dr. don Arcangelo che nel 1748, tra l’altro: «…possiede…mondelli tre di terre in due partite collaterali girati di muro in tabia…q.rio di S. Giuseppe in uno de quali vi è un luogo di macello, che entrambi soglionsi dare alli macellatori per tarì venti l’anno…onze 4.1».  
2] Daniela Cavallo, Vittoria: storia ed analisi sociale del territorio attraverso il catasto borbonico urbano del 1851, Università degli Studi di Catania, Facoltà di Scienze Politiche, aa. 1998-1999
3] Il Comune di Vittoria, con la chiesa ed il Monastero di San Giuseppe, ebbe la chiesa ed il convento della Grazia, la chiesa e il convento di San Francesco di Paola, il Monastero di Santa Teresa, la chiesa e il Collegio di Maria a San Biagio, la chiesa e il convento dei Cappuccini, con tutte le pertinenze.
4] Errato per Giuseppe.
5]Nell’anno scolastico 1889-1890 frequentavano le scuole 1165 alunni di ambo i sessi ed una sessantina a Scoglitti. Sulla storia della scuola a Vittoria, cfr. Salvatore Bucchieri, L’istruzione a Vittoria tra cronaca e storia 1607-1923.

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