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9. La Torre di Cammarana

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La torre di Cammarana dal Quattro al Novecento.

Tra l’altura della necropoli di Scoglitti e la foce del fiume si estendevano le dune, i cosiddetti  Macconi di Cammarana. Oggi, fermandosi nel piazzale antistante il cimitero di Scoglitti, si può solo avere una pallida idea di come fosse il paesaggio nel passato. Possiamo però ricostruirlo dalle descrizioni dei visitatori. Rileggiamo cosa vide Julius Schubring:

«La pianura profonda…fra questo cimitero e la città [di Camarina], tra il mare e le due paludi, è una pianura deserta di sabbia e i rialzamenti sono pure colline di sabbia…».

Lo stesso Orsi così ne parla nel taccuino n. 23 del 26 febbraio 1906:

«Pertanto…la regione assume aspetto assolutamente fantastico, si attraversano campi ondulati di nude sabbie, che sembrano in tutto i nevai delle Alte Alpi: la sabbia gioca sotto il vento come la neve, ed in taluni casi forma vere colline nude e desolate di 50/60 m. di altezza, la cui cresta assomma e decresce sotto il soffiar del vento; ad erto declive verso il mare, quasi a piombo verso l’interno, codesti Macconi di cui una mezza dozzina si allinea colle sue creste desolate e fantastiche formano un baluardo enorme contro l’avanzata delle sabbie e prolungano la campagna che incomincia non prima di 4 km. dal mare».

Salendo sul promontorio, dopo aver guadato il fiume, lì fino al 1915 avremmo trovato i resti dell’antica torre, chiamati papallosso, parola che in dialetto indica un grosso e informe cumulo di pietre. Già Schubring aveva scritto che la roccia su cui era costruita la torre di guardia medievale «si precipita a picco sul mare per venti metri; tuttavia essa non potrà più a lungo resistere agli attacchi degli elementi; già torre e roccia sono spaccate; un pezzo si sminuzza dopo l’altro, ed anche qui la sabbia stenderà il suo dominio»[1].

Secondo quando scrive Fazello, la torre sarebbe stata costruita ai primi del XV secolo, al tempo di Bernardo Cabrera, per la qual cosa sarebbe stata chiamata lucaprera. Ma da documenti pubblicati a fine Settecento da Rosario Gregorio e dallo stesso diploma d’investitura di Bernardo Cabrera del 1392, apprendiamo che già prima la torre esisteva. Infatti la torre e la foresta di Cammarana sono citate negli accordi di Castrogiovanni del 14 ottobre 1362, al punto V della pace tra Francesco Ventimiglia e Federico Chiaromonte, garante il re Federico IV detto il Semplice, laddove lo stesso re conferma «le donazioni fatte allo stesso magnifico signore Federico e ai suoi… e in particolare quelle della torre marittima, e della foresta di Cammarana, che… furono richieste… e concesse dalla Regia Maestà»[2].

L’esistenza della torre di Cammarana deve essere connessa al nuovo sviluppo economico della zona promosso dai Chiaramonte, come supponeva il prof. Enzo Sipione. La torre fu probabilmente fatta costruire da loro nei primi decenni del XIV secolo, a guardia del “caricatoio” da cui venivano esportate derrate agricole e merci varie dai paesi e dalle campagne dell’interno, cioè Comiso, Chiaramonte e Ragusa. Ciò presuppone anche il funzionamento di un minimo di struttura portuale. Un migliaio di monete rinvenute sul posto, in gran parte di Federico il Semplice (1355-1377) attestano la frequenza nel luogo in quell’epoca. Ma che sul promontorio, oltre alla torre ed alla chiesa, ci fossero delle abitazioni, è dimostrano anche da Henri Bresc[3], che parla di un casale di Camarina (ma più correttamente avrebbe dovuto dirlo casale di Cammarana) dove si teneva un mercato di schiavi, organizzato da mercanti genovesi di Palermo, nel periodo 1360-1399 cioè in parte del regno di Federico e per tutto il periodo dell’anarchia feudale cui mise fine lo sbarco dei giovani sovrani Martino e Maria nel 1392, con un corpo di spedizione alla cui testa c’era il catalano Bernardo Cabrera. A quest’epoca si riferiscono anche i ritrovamenti fatti nell’agorà, dove tra il 1983 e il 1995 sono state rinvenute 45 monete: 41 denari del periodo di Manfredi (1250-1266) e 4 di Carlo d’Angiò (1269-1282), più altre 5 degli inizi del XV secolo, a conferma della frequentazione dei luoghi nel Medioevo.

Assegnata a Bernardo Cabrera nel 1392, la torre fu riconcessa al figlio Giovanni Bernardo insieme con tutti gli altri possedimenti nel 1451 (vedi par. 21b). Probabilmente Bernardo Cabrera dovette però rafforzarla o ristrutturarla, perché gli se ne desse la paternità della costruzione.

Così parla della torre Camillo Camiliani nel 1583:

«Sagliendo al alto per spazio di un tiro di fromba, si trova la torre di Camerana, posta sopra una rocca alquanto esposta al mare; e per il suo elevato sito resta molto forte, e per la commodità delle vestigie, che si diranno appresso, è fatta molto eminente e sicura. Ci si fa la guardia tutto l’anno, ed è di grandissimo commodo ed utile per la pescagione del lago sopradetto».

In merito alla forma gli autori non sono concordi. Tito Spannocchi la disegna quadrata, merlata, a due piani e con scala esterna in legno, altri la rappresentano rotonda. Se dovessimo credere alla forma datale nel quadro dell’Immacolata di San Francesco a Comiso, la dovremmo dire anche noi rotonda…

La torre era, comunque, «estranea al circuito ufficiale, ed utile solo alla difesa locale; infatti non si trova mai nominata in alcun elenco, né in documenti d’archivio» (Mazzarella-Zanca, Il libro delle torri, Sellerio 1985), cosa però non vera, perché nella relazione inviata da Juan de Vega a Carlo V nel dicembre 1547 (per dissuaderlo ad accettare in permuta la Contea di Modica) si può leggere: «Nella marina di Modica c’è una torre che chiamano del Pozzallo, e distante da essa, un’altra torre [detta] di Cammarana…». Eppure aveva avuto i suoi momenti di gloria. È lo stesso Camiliani a dirci che «la detta torre di Camarana, come chiaramente si sa, fu combattuta dall’armata d’Ucciali, et hebbe sette o vero otto cannonate, e fu da più parti cercata di menar per buttarla a basso, però non essendo stato riuscibile il lor pensiero, fu lasciata così come al presente si ritrova, se pure il Governatore di Modica di poi che siamo stati là non l’ha fatta accomodare conforme all’ordine che ci lasciò» (Descrittione delle torri marittime del Regno, f. 224). Da allora la torre cominciò la sua triste esistenza di rudere. Né fu più valida difesa contro le incursioni dei pirati barbareschi, che il 21 settembre 1591 colpirono di nuovo la «marina di Cammarana», rapendo alcuni sventurati, probabilmente pastori. Altre notizie sulla torre, sebbene assai schematiche, sono contenute nei Processi d’Investiture tratti dall’Archivio di Stato di Palermo, Protonotaro del Regno (busta 1549), relative alle prese di possesso degli anni 1596 e 1601.

Il 20 ottobre 1596 infatti, dopo la morte del conte Luigi II, l’erede Luigi III, marito di Vittoria Colonna, prese solenne possesso di tutti i suoi beni nella Contea tramite il suo fiduciario Ippolito Nichetti. La cerimonia consisté in un minuzioso atto notarile che fu rogato nel territorio di Cammarana e dentro la torre stessa, di cui si prese possesso «per receptionem clavis dicte turris pro clausionem et aperitionem ianuarum illius et per introytum et exitum et alia signa denotantia…dictam possessionem quiete et pacifice…»[4]. Dopo la morte di Luigi III a Valladolid il 16 agosto 1600 (cfr. Monello 1990) l’operazione si ripeté il 22 gennaio 1601. Fortunio Arrighetti prese possesso della torre di Cammarana e dei feudi di Dirillo per conto di Vittoria Colonna, tutrice del figlio Giovanni Alfonso, erede del padre. Ai primi del Seicento risale probabilmente il grande quadro dell’Immacolata nella chiesa di San Francesco a Comiso, ma da quel che abbiamo detto, la torre era quadrata e non rotonda: pertanto quell’immagine del quadro è alquanto fantasiosa…  

La marina di Cammarana è citata in alcuni documenti del febbraio 1630, quando una tempesta fece naufragare una nave “turca” (con tale termine si indicavano tutti i levantini in genere) «in queste nostre marine di Cammarana» (così scrivono i giurati al governatore Paolo La Restia). Erano sopravvissute 14 persone, che fortunatamente erano sane, cioè non ammalate di peste. In quegli anni infatti si identificavano i Turchi come portatori di peste. Sarebbe facile ricordare che è sempre il nemico, cioè il “diverso”, che porta il male, ma allora c’era una ragione pratica, e non ideologica, se si riteneva così. Si era da poco estinta infatti la grande peste del 1624-1626, scoppiata a causa di un tappeto infetto portato al Palazzo Reale di Palermo da Trapani, dove era stato sbarcato da una nave di cristiani riscattati. La peste, dopo aver ucciso lo stesso viceré Filiberto di Savoja, aveva desolato Palermo e mezza Sicilia (vedi par. sul culto di Santa Rosalia). Ma le efficaci azioni preventive del governatore Paolo La Restia avevano risparmiato alla Contea lutti più gravi. Vittoria per sua fortuna non risultò nemmeno sfiorata dalla peste (risultano infatti infondate le cifre di centinaia di morti riferite da Barone, senza alcuna prova), ma grande dovette essere il terrore quando si scoprirono i naufraghi. Da quel che si capisce dai documenti, La Restia ordinò ai giurati di Vittoria di tenere in quarantena i prigionieri, che vennero portati a Vittoria e tenuti in osservazione (ma ripuliti, rivestiti e nutriti) nelle grotte di tale Andrea Terranova, poco fuori dell’abitato, fino al superamento del periodo d’osservazione. Non sappiamo che fine fecero i naufraghi ma non ci sono dubbi che dovettero seguire la sorte che subivano gli altri in simili situazioni: essere venduti come schiavi[5]

La voce su Camarina dell’abate Vito Amico nel suo Lexicon Topographicum Siculum (edizione del 1757), in merito alla torre dice: «evvi ancora piccola torre o quadrata specola di elegante lavoro», descrizione che si riferisce probabilmente all’epoca delle visite di Fazello (1544-1554) e non al 1757, data di pubblicazione del Dizionario Topografico della Sicilia, quando la torre era assai malconcia…

La decisione di costruire una nuova torre di guardia a Scoglitti, presa nel 1676, al tempo della rivolta di Messina, è la conferma infatti che ormai la torre di Cammarana era inutilizzabile. Trascinerà la sua presenza ancora per oltre due secoli, fino a diventare il papallosso e scomparire infine per l’inesorabile distruzione del promontorio operata dal mare.

 

NOTE

1]Schubring non aveva previsto gli effetti del progresso e delle vacanze di massa…
2]Rosario Gregorio, Introduzione allo studio del diritto pubblico siciliano in Opere rare e inedite riguardanti la Sicilia, pag. 369 nota n. 1, Forni 1977 (rist. edizione 1873).[3]Henry Bresc, Un monde mediterranéen. Économie et societé en Sicile 1300-1450, vol. I, pag. 446.
4]La presa di possesso della torre implicava la presa di possesso del feudo che alla torre faceva capo. La stessa cosa avvenne per le altre città della Contea e per i feudi di Dirillo. «Apud pheudos Dirilli» lo stesso Nichetti prese possesso «pheudorum nuncupatorum di Dirillo videlicet lo Casali, Salacito e la Marina».
5]Nel 1623 vivevano a Vittoria un paio di «scave olivastre», che svolgevano servizi domestici nella famiglia di Giuseppe Monello; un’altra schiava è registrata nel 1714 tra la servitù del barone Giovan Battista Ricca.  

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