sabato, Luglio 27Città di Vittoria
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b) La Foresta di Cammarana

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La foresta di Cammarana nei documenti storici.

Cammarana (che si crede nome medievale storpiato di Camarina) è strettamente collegata con Vittoria. Cammarana è oggi il nome dei luoghi dove un tempo signoreggiava Camarina: i luoghi delle dune, della palude e del promontorio. Una contrada Cammarana o Cava Cammarana (come abbiamo già detto) è sotto Grotte Alte e indica le terre proprio sotto il Castello. Un toponimo che a mio avviso  deriva dalla strada che, provenendo da Comiso, percorreva la valle del fiume di Cammarana e che proprio poco prima di Vittoria si biforcava: un ramo saliva sull’altopiano ed andava verso Terranova; l’altro ramo proseguiva nella cava dirigendosi verso Cammarana, da cui alla stessa cava fu dato il nome di Cammarana. E’ la stessa cosa che è avvenuta per la denominazione dell’odierno quartiere di Forcone, chiamato così perché attraversato dalla strada che anticamente andava nella contrada Forcone…Ma lasciamo le congetture ed esaminiamo le tracce della documentazione, che sono certe e numerose. 

Nel 1092, data della spedizione di Ruggero a Malta, con partenza da Capo Scaramia, il Val di Noto risulta conquistato tutto dai Normanni. Secondo Pace (Arte e Civiltà della Sicilia Antica, ACSA IV, pag. 171 n. 5), risalirebbe a quest’epoca una suddivisione amministrativa della zona (probabilmente corrispondente all’antico territorio di Camarina) in cinque entità feudali: Comiso, Cifali, la foresta di Cammarana, Odogrillo, Chummo (cioè Piombo), suddivisione che ritroveremo nei documenti successivi. Delle vicende della foresta di Cammarana dal 1361 in poi parla Giovan Luca Barberi nella sua colossale opera di revisione dei titoli di possesso dei vari feudatari, compiuta su incarico di Ferdinando d’Aragona tra il 1506 e il 1516 e che va sotto il nome de I Capibrevi. A proposito vi leggiamo: «La foresta della Regia Curia chiamata di Cammarana… appartenente al demanio reale come luogo di delizie fu data dal Serenissimo Re Federico con tutti i suoi diritti, redditi, acque, boschi e pertinenze a Federico Chiaramonte e ai suoi eredi e successori in perpetuo, iure francorum, franca, libera ed esente da ogni onere…e prestazione di qualsiasi servizio, nonostante facesse parte del patrimonio destinato alle delizie della Regia Corte, dal quale [il re] la separò, per sua certa scienza e pienezza di potere; la concesse sempre salve le costituzioni del re Giacomo e i diritti della Regia Curia e di terzi, con suo regio privilegio annotato nella Regia Cancelleria nel libro degli anni 1360-1366, al foglio 359. Ma, ribellatosi detto Federico Chiaramonte conte di Modica e Ragusa, la foresta di Cammarana fu [dichiarata] aperta [come feudo] e devoluta alla Regia Curia». Fermiamoci dunque a queste parole. Intanto c’è da precisare che iure francorum significava che il feudo era indivisibile e trasmissibile al solo primogenito. Barberi parla di una ribellione di Federico che però non è attestata, tanto più che morì di lì a poco, nel 1363. Ciò che Barberi vuole dimostrare in pratica è che la foresta, assieme ad altri beni, fu assegnata a Bernardo Cabrera per errore della Curia o inganno di quest’ultimo, che avrebbe asserito falsamente che la foresta era in possesso di Andrea Chiaramonte.

L’opera di Barberi fu pubblicata per la prima volta da Giuseppe Silvestri nel 1879, ma prima di allora circolò per tre secoli in numerose copie soprattutto negli ambienti dei giuristi. Ancorché labile, traccia della conoscenza della voce sulla foresta è a mio avviso in una memoria difensiva, presentata dagli avvocati Matranga e Trimarchi al Tribunale del Real Patrimonio nel 1763 per conto dell’Università di Vittoria, nella fase finale della lunga lite territoriale con Chiaramonte. In essa si riporta la notizia che nonostante il divieto del re Giacomo d’Aragona (re di Sicilia dal 1285 al 1295), la foresta «palco [parco] di Reali Delizzie» era stata dichiarata «con una prammatica…di non aversi potuto da niun Regnante successore alienare senza la certa scienzia di quel regio rescritto». Qualche riflessione sul concetto di luogo di “reali delizie”. Risale agli Arabi? Ai Normanni? Per i primi un luogo di delizie è un giardino, il “genuardo” o “paradiso”, cioè un sistema di giardini, orti, frutteti che richiamerebbe più la Valle dell’Ippari che non la foresta. Pertanto mi sembra giusto escludere che gli Arabi avessero potuto chiamare “luogo di reali delizie” un grande bosco adatto a pascolare i maiali… Probabile è invece che con i Normanni, la foresta abbia rivestito la funzione di ideale riserva di caccia e per questo “luogo di reali delizie”, cioè di svago, oggetto di privativa e di possesso demaniale. Ma seguiamo le vicende della foresta. Smembrata dal demanio regio nel 1361, vi sarebbe ritornata di lì a poco, dove, secondo Barberi, sarebbe dovuta rimanere. Eppure la ritroviamo concessa a Bernardo Cabrera il 20 giugno 1392. Morto Federico Chiaramonte infatti, gli successe il figlio Matteo (1363-1377), poi fu Conte di Modica Manfredi III (1377-1391) e infine lo sfortunato Andrea (1391-1392), colpevole di non aver capito che il vento era cambiato e che il potere reale, sostenuto dall’esercito catalano al soldo di Bernardo Cabrera, era intenzionato ad affermare le sue prerogative contro la riottosa nobiltà siciliana, le cui lotte fratricide per decenni avevano insanguinato l’isola. Decapitato dunque Andrea Chiaramonte, il giovane re Martino I e la moglie Maria, figlia di Federico IV il Semplice, il 20 giugno 1392, per ricompensare Bernardo Cabrera, che per la conquista della Sicilia aveva impegnato se stesso e il suo patrimonio, gli concessero i beni del defunto Chiaramonte (e forse qualcosa di più), come è facile supporre dalla lettura del privilegio. La versione che seguiamo è quella della copia fatta estrarre da Vittoria Colonna il 28 febbraio 1602 dai registri della Cancelleria Comitale di Modica dal notaio Michele Cannata e che le servì per documentare la sua richiesta di rinnovo della licenza di estrazione delle famose 12.000 salme di frumento (ottenuta appunto da Bernardo Cabrera) in occasione degli accordi matrimoniali del figlio Giovanni Alfonso nel 1602 e poi 1605 (cfr. Monello 1993). Insieme con le altre terre di Modica, Scicli, Chiaramonte, Ragusa, Spaccaforno, Martino e Maria concessero a Bernardo: «il feudo di Comiso, con il castello e tutti gli altri edifici e fortificazioni, il castello di Dirillo con le fortificazioni, i casali, i confini e i territori e con tutte le giurisdizioni, la terra [terram e non turrim, cfr. Monello 1993] di Cammarana con la foresta con il suo territorio, il feudo chiamato di Cifali, il feudo chiamato Gomem [cioè Chummum] con i territorii e tutte le loro fortificazioni…con tutte le coste e i caricatori di Pozzallo e di Cammarana…le quali coste e i caricatori vogliamo sia unite e aggregate e siano unico corpo con detta Contea». A parte l’incertezza tra terram/turrim (tutte le altre copie contengono la parola turrim), la cosa più importante è che i Sovrani rinunciavano alle prerogative reali sul possesso della costa, sulle saline della Marza e sui caricatori (punti da cui si esportavano i cereali), rinunciando agli introiti soliti, anzi affermavano chiaramente di volere che le coste facessero «tutt’uno con la predetta Contea». Ciò si sarebbe giustificato solo per la grande importanza del ruolo di Bernardo Cabrera, così grande da apparire all’occhiuto Giovan Luca Barberi una falsificazione, nonostante gli eventi del 1447. Infatti il figlio di Bernardo Cabrera (morto nel 1424), Giovanni Bernardo, dal 1427 in poi dovette sottoporsi ad una serie di processi che culminarono nel 1447, quando infine i suoi titoli di possesso furono passati al setaccio e filologicamente esaminati dalla attenta Cancelleria napoletana di Alfonso il Magnanimo, presso la quale viveva uno studioso del calibro di Lorenzo Valla.

Una Cancelleria che disponeva di personalità capaci di dimostrare la falsità della Donazione di Costantino, non ebbe difficoltà a fare a pezzi il diploma di investitura della Contea di Modica, dichiarandolo falso nelle concessioni dell’estrazione delle dodicimila salme di frumento e della giurisdizione civile e criminale e quindi nullo. Ma poiché Alfonso aveva sempre bisogno di denaro e non voleva complicazioni, il 25 febbraio 1451 fece pace con Giovanni Bernardo Cabrera mediante una transazione. Dietro il pagamento di 60.000 scudi (Solarino) ogni addebito fu rimesso e Alfonso riconfermò per filo e per segno (con grande rabbia di G.L.Barberi) il contenuto di un documento prima dichiarato falso, riconcedendo tutto ciò che dentro era scritto, compresi diritti demaniali e giurisdizionali. Cabrera, per pagare la multa dovette vendere Comiso a Periconio Naselli, Giarratana andò a finire nelle mani del banchiere Settimo, mentre Spaccaforno fu definitivamente venduta ad Antonio Caruso. La Contea ne uscì rimpicciolita, ma anche rafforzata e confermata nelle linee di autonomia amministrativa che Bernardo Cabrera il 20 giugno 1392 aveva ottenuto o strappato ai Sovrani. Si ha oggi l’impressione però che la Cancelleria di Alfonso il Magnanimo commise qualche forzatura, quando dichiarò nulla la concessione di Martino e Maria. Se infatti appare chiaro che non tutti i beni concessi a Bernardo Cabrera fossero stati in possesso di Andrea Chiaramonte (ad es. la foresta di Cammarana era tornata al Demanio), altri possessi e giurisdizioni messi in dubbio risultano appartenere allo stesso Bernardo anche nel 1408. Alla Contea di Modica così come gli era stata concessa (Modica, Scicli, Spaccaforno, Ragusa e Chiaramonte, i feudi di Comiso, Cifali, Gome, Dirillo, la foresta di Cammarana, i diritti sui caricatori di Pozzallo e Cammarana, le saline della Marza e le coste) Bernardo aveva nel frattempo aggiunto «Monte Rosso, Giarratana, la salina della Murra, il feudo Daratre e ventidue tenimenti di terre nel territorio di Ragusa…con obbligo di servizio militare…che ascendono a ventisette cavalieri armati» (Gregorio 1792, pag. 486, Amplissima sub Rege Martino…recensio etc.).

Altre notizie sulla nostra foresta, il cui confine verso il mare non è definito che dal feudo di Dirillo, sono contenute nelle Allegazioni di Gian Luca Barberi, cioè le critiche mosse alla “sanatoria” concessa a carissimo prezzo nel 1451 da re Alfonso V al figlio di Bernardo Cabrera, pubblicate da Enzo Sipione nel 1966. A pag. 137 leggiamo infatti, fra l’altro, che Bernardo Cabrera, finché visse possedette «il castello, il casale, il feudo di lo Comiso et il castello e il feudo di Dirillo, con tutti e singoli diritti, giurisdizioni, membri, vassalli, vassallaggi, boschi, erbaggi, mulini e loro pertinenze; parimenti la torre di Cammarana con feudi, foresta, territorio, salina e palude o pantano, con i diritti di pesca e singoli diritti e pertinenze; parimenti il feudo chiamato Cifali e il feudo Gomen etc.». Tutte cose che Bernardo Cabrera aveva fatto credere ai Sovrani fossero in possesso di Andrea Chiaramonte. Pur tuttavia Alfonso li concesse al figlio, come si è detto, previo esborso di 60.000 scudi. Da ciò che siamo venuti dicendo fin qui, si delinea il profilo di una vasta estensione di terre coperte da boschi che da riserva di caccia (“parco di reali delizie”) fino al 1361, con la costruzione della torre a guardia del caricatore, diviene un grande feudo, che abbiamo visto estendersi giuridicamente nel 1409 (quale che fosse il suo nome) dalle porte di Biscari risalendo il corso del Dirillo fino al feudo di Mazzarrone e poi seguendo un’antica “trazzera” che da Mazzarrone portava a Comiso, delimitava il territorio del Magistrato di Chiaramonte e arrivava a Boscorotondo alle porte di Comiso; da Comiso lungo la valle fino alla foce dell’Ippari, dall’Ippari fino alla foce del Dirillo e dal mare fino alle porte di Biscari (cioè per quasi tutti i 18.000 ettari che compongono l’attuale territorio di Vittoria). Una grande riserva di legname (alberi da sughero, pioppi e pini soprattutto), ma in cui nel 1451 esisteva una salina (rimasta nel nome della omonima contrada) e dove, nella palude, era riservata la pesca (Fazello, cento anni dopo parlerà dello ottime anguille che vi si pescavano). Al caricatore di Cammarana dovevano essere annesse un minimo di strutture portuali funzionanti. Non dimentichiamo inoltre che sul promontorio (probabilmente al servizio dei pochi abitanti del villaggio) sorgeva (forse già da qualche secolo) una chiesa dove si celebrava il culto della Dormizione della Vergine, cioè della Madonna Assunta, una tradizione bizantina non pervenuta in Sicilia prima dei Normanni. Per completezza d’informazione, aggiungo che la torre inoltre viene citata come esistente negli accordi di Castrogiovanni del 1362 e da Bresc apprendiamo che nel casale sul promontorio nella seconda metà del Trecento si svolgeva un florido mercato di schiavi.   

 

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