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7. San Paolo

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La chiesa di San Paolo.

La chiesa di San Paolo, che sorge in via Palestro all’angolo con la via La Marmora è officiata dalla parrocchia di San Giovanni. È piccola ma anch’essa reca belle opere d’arte.
Entrando a sinistra, si incontra:

  1. la nicchia con la statua della Madonna col Bambino;
  2. altare del Crocifisso (con quadro notevole, probabilmente del Seicento);
  3. medaglione in stucco raffigurante San Paolo;
  4. altare maggiore con statua di San Paolo in legno. Segue la sacrestia, molto piccola;
  5. medaglione in stucco con San Luca e San Giovanni;
  6. medaglione in stucco con San Marco e San Matteo;
  7. medaglione in stucco con San Pietro Re;
  8. altare con statua di Cristo Re;
  9. altare con quadro raffigurante un sacerdote [San Luigi Gonzaga] e la Madonna col Bambino
  10. altare con quadro della Conversione di San Paolo.

Purtroppo della chiesa sappiamo assai poco. Secondo la tradizione, essa risulta ultimata entro il 1727. Infatti a pag. 413 della sua opera Mons. La China scrive che essa fu solennemente benedetta in data 20 marzo 1728 dall’arciprete don Desiderio Ricca. A questa scarna notizia noi, alla luce dei nuovi materiali acquisiti, possiamo aggiungere che il desiderio di costruire una nuova chiesa nella zona di espansione verso occidente è dimostrata dal cenno contenuto nel rivelo del 1682, che parla appunto di un quartiere intitolato già a San Paolo in quell’anno, dove vennero registrate tre case. Nessun cenno al quartiere di San Paolo è fatto nel rivelo del 1714 (ma esso, purtroppo, è incompleto), mentre invece nel 1748 il quartiere risulta già assai abitato e ricco di case. Le denominazioni però sono varie e interscambiabili, per cui indifferentemente le abitazioni vengono registrate non solo col nome di San Paolo, ma anche di Sant’Isidoro[1] o dietro li mura[2].

Nel 1748 il quartiere di San Paolo (o di Sant’Isidoro) è già popoloso, segno della continua espansione della cittadina verso occidente. Le case sono entro la cinta daziaria, ma oltre le mura le terre sono già pronte ad essere edificate ed appartengono in parte a donna Framilia Rivadeneyra, vedova di don Saverio di Marco. I rivelanti sono in numero cospicuo: 221, mentre le case sono 275, con 2 trappeti (di proprietà del sac. don Giovanni Antonio Catalano, però non funzionanti a causa di una sorgiva). Anche in questo quartiere le case da 1 a 3 corpi sono la stragrande maggioranza: 257 (il 93,45%). Due le case grandi (una delle quali è della ricchissima donna Carmela Giangreco), 13 le case di media grandezza (da 4 a 6 corpi), una a 7 corpi (di don Paolo Quarrella, forse nell’attuale via Ruggero Settimo all’ang. con la via Bixio), una a 8 corpi (di m.ro Pietro Inghilterra) e una a 9 corpi (del sac. don Giacomo Cicerone). Numerosi, come dovunque, gli orti.

Annessa al rivelo del 1748 abbiamo altra documentazione, relativa alle donazioni fatte alla chiesa dal 1718 al 1747. Da vari fedeli in circa 20 anni furono donati complessivamente sei appezzamenti di terreno in varie contrade, con olivi e carrubi, mezzo trappeto nel q.re di Sant’Antonio Abate, 4 case terrane, rendite per onze 6.16 con l’obbligo di dire due messe fondate dal rev. sac. don Giovanni Catalano, da don Natale Lupo e da mastro Francesco Riggio. Poca cosa, ma in seguito furono fondate numerose altre messe, per come risulta dalle scritture della Chiesa Madre, a dimostrazione dell’affetto dei fedeli per la chiesa dell’”Apostolo delle Genti”. Nella cui chiesa ai primi dell’Ottocento si festeggiavano:

«a 10 febraro: Festa dell’arrivo di S. Paolo Appostolo in Malta, con pochi lumi e limosina publica.
a 22 giugno: Festa di S. Luigi Gonzaga alle volte sì, alle volte non si sollenniza con limosina publica».

La China completa poi le poche cose che dice, scrivendo che la chiesa «…raggiunse il suo pieno splendore, allora quando venne amministrata e diretta dal Rev.do sac. D. Giombattista Siciliano, che rese l’anima a Dio nel 2 Aprile 1811». Un ritratto del sacerdote era custodito nella sacrestia e La China ci traduce dal latino la legenda del quadro: «Piangi o tempio di S. Paolo! Di già è morto il Sac. Don Giombattista Siciliano, il quale da rude e oscuro che eri, ti rese splendido e più ornato. Piangete cittadini, perché emigrò colui che coll’assidua predicazione e con l’eccellenza dei costumi, nel Culto vi perfezionava e nella devozione verso la Pastorella Divina!». Il culto della Divina Pastorella (forse rappresentato dalla statua della Madonna col Bambino nella nicchia a sinistra subito dopo l’ingresso) è attestato come terza festa nell’elenco dell’arciprete Ventura (1799-1827) con le seguenti parole: «Nella seconda domenica d’agosto la festa di Maria SS.ma de’ Poveri, colla limosina popolare». Stranamente però di San Paolo non veniva festeggiato il 25 gennaio, giorno della Conversione, ma il suo arrivo a Malta. La statua in legno de La Madonna dei poveri o Divina pastorella, fu realizzata da Giuseppe Giuliano, nonno dell’omonimo autore della statua di San Paolo. Secondo Alfredo Campo «l’opera è arricchita dalle varianti tonali e dall’indoratura realizzata nel 1863 da Cesare Cappellani di Palazzolo Acreide, a cura della famiglia Carfì-Pavia. L’escavazione scultorea ricerca e risolve incisivamente le pieghe del manto e della veste della Madonna, sottolineando col delicato rilievo le figure del Figlio e della Madre, che tiene amorevolmente in braccio il Buon Pastore, Gesù, il quale apre le braccia per accogliere simbolicamente i poveri e i diseredati. Tutto è amore, espresso dalla bellezza scultorea e pittorica delle forme».

Secondo La China, infine, la statua in legno di San Paolo che orna l’Altare Maggiore fu scolpita nel 1859 da Giuseppe Giuliano di Palazzolo Acreide[3], «il quale, attraverso lo studio chiaroscurale e l’uso della luce, sottolinea morbidamente le intense pieghe trasversali della veste e del manto del Santo, messe in rilievo da varianti coloristiche del turchino e del rosso. L’immagine è rigorosa e fiera, colta col braccio destro alzato e con quello sinistro che tiene un libro, nonché con la spada nella quale si attorciglia una vipera: chiari riferimenti all’apostolato, al martirio e a un evento taumaturgico compiuto dal Santo». Le stazioni della Via Crucis sono del 1878. Sempre secondo Campo, nel 1922 Vito Melodia dipinse i medaglioni della volta del catino absidale. Purtroppo nulla ad oggi sappiamo del bel quadro della Crocifissione, detto in genere “settecentesco” ma che dalla fattura si potrebbe rivelare anche più antico. Sul quadro della Conversione di San Paolo ecco quanto scriveva la Garretto Sidoti nel 1944:

«Alla pittura del Settecento possiamo riportare il quadro raffigurante la “Conversione di San Paolo” (un dipinto ad olio di m. 2.50×1.75, nella Chiesa Madre fino al 1920). In una rozza cornice in legno, il dipinto si conserva discretamente; un po’ sbiadito sembra il colore giallo che in alto forma la luce che acceca il Santo. San Paolo si reca, con il seguito a Damasco per continuare a perseguitare i Cristiani, ma sulla strada viene ad un tratto sbalzato di sella: una luce abbagliante, che viene dall’alto, lo colpisce specie sugli occhi e una voce grida: “Saule Saule quid me persequeris?”. I cinque uomini del seguito sono spaventati, i cavalli hanno le narici dilatate per il terrore. Sul fondo scuro, in basso, per terra, supino il centurione Saulo, ha perduto i sensi ed è sorretto da un cavaliere che guarda, come tutti gli altri, meravigliato, la luce. Saulo ha ancora nella cinta la spada, la lancia è caduta dalle mani esangui. Un cavallo è in ginocchio, gli altri due si impennano quasi volessero allontanarsi. In alto, dove il fondo del quadro è più chiaro, una persona divina, nell’armonia dei giallini e dell’azzurro della veste, emana una luce soave ed affascinante, da cui il centurione incredulo è accecato.

Su questa luce, sono scritte di traverso a caratteri d’oro, le parole che chiedono il perché di sì grande persecuzione al Cristo e ai suoi seguaci. Il particolarismo descrittivo qui giunge al massimo e la composizione non manca di realismo. Non è certo quel realismo della caduta di San Paolo del Caravaggio in S. Maria del Popolo a Roma, ma c’è qui, in compenso, quella verità biblica che lì manca. Per le luci e le ombre, per il disegno e il colore e per quel senso di accademismo, che ce lo fa appartenere al Settecento, anche se manca la data e la firma dell’autore, il quadro ha preziosità». 

 

NOTE

1] Probabilmente Isidoro l’Agricoltore beatificano nel 1622.
2] Extra moenia, perché fuori la linea daziaria.
3]Autore nel 1865 della statua in legno della Madonna di Portosalvo di Scoglitti (vedi oltre).

 

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