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a) La Palude

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La palude, il porto-canale ed il sobborgo sulla collina oggi occupata dal cimitero di Scoglitti.

La palude di Cammarana fu completamente prosciugata nel 1907 per eliminare una notevole fonte di malaria. Il progetto del Genio Civile ridisegnò il corso dell’Ippari, rendendolo lineare, lungo le pendici della collina di Cammarana (nelle vecchie mappe catastali del 1937 è ancora indicato il primitivo corso, parecchio discosto) e lo irreggimentarono in modo da evitare che straripando ricreasse la palude. Fu così cambiato un paesaggio lacustre millenario, iniziando una trasformazione che si completò negli anni ’60 del Novecento con l’eliminazione delle grandiose dune di sabbia, dette Macconi di Cammarana. Come si è già accennato, l’antico lacus Camarinensis è chiamato «salina, palude e pantano, con i diritti di pesca» nelle Allegazioni di Barberi relative alla transazione del 1451 tra Giovanni Bernardo Cabrera e la Corte di Napoli[1]. Fu però Tommaso Fazello, nel 1544-1554, a far ritornare la palude nella grande cultura del passato greco della zona. Così scrive infatti:

«Il fiume Ippari, circa cinquecento passi prima di gettarsi in mare, attraversa uno stagno, che ha un giro di due miglia, è formato da oltre venti sorgenti lì vicine e sta sotto una città chiamata alle origini Esperia; poi dagli antichi fu detto palude di Camerina, come si legge in Vibio Sequestre…

Ma benché questa palude una volta arrecasse parecchi vantaggi alla città, tuttavia spesso inquinava l’aria e la rendeva infetta. Per questo motivo una volta i Camerinesi consultarono l’oracolo di Apollo per sapere se conveniva prosciugare questa palude così dannosa alla città e ne ebbero questa risposta: “Non muovere Camerina”. Ma quelli, funestati spesso dalla peste, non riuscendo più a sopportare una causa di male che potevano eliminare, badando solo ai vantaggi immediati e non tenendo conto dell’oracolo, prosciugarono la palude e ottennero sì la salvezza desiderata, ma non molto dopo caddero in un guaio peggiore. Infatti, in quella parte della città che era prima impraticabile per la presenza della palude essi vennero praticamente ad aprire una via d’accesso ai nemici e Camerina, saccheggiata, pagò gravemente il fio di aver violato un obbligo religioso, sia pure di una religione falsa. Per ciò Virgilio dice nel 3° dell’Eneide: Et fatis numquam concessa moveri apparet Camerina procul[2]. E Silio nel l. 14: Et cui non licitum fatis Camerina moveri[3].Da qui derivò anche, presso i Greci, un antico adagio: “Non muovere Camerina”, ormai noto a cisposi e barbieri[4]. Quel lago esiste ancora ed è noto solo per la pesca di tinche e di anguille di ottima qualità»[5]. Su questo brano riflette Biagio Pace, che nel capitolo dedicato alla palude e al porto del suo Camarina del 1927 così scrive:

«Nel suo estremo tratto, là dove si abbassa alla quota di m. 10, la valle dell’Ippari si slarga tra le colline che alla sinistra si chiamano del Piombo e alla destra di Castelluccio, Triesi [Teresi, n.d.a.], Niscescia. Quivi il fiume, arricchito di piccole fonti che il Fazello fa ascendere a venti, straripando d’inverno, ricopriva nell’antichità in misura diversa d’acquitrino e di erbe palustri l’ampia valle, nelle contrade dette della Buffa, Salina e Pantano, fin sotto la collina Camarinense, e al limite dell’orlo di dune sabbiose presso il mare. Era questo il “Lacus camarinensis”, la “patria palude” ricordata da Pindaro e da altri scrittori e fatta proverbiale da un motto antico…». Pace mette in dubbio che la città avesse patito una delle tante sue distruzioni per il prosciugamento della palude, ma non nega che una bonifica ci fosse stata. Continua infatti l’autore:

«Di questa bonifica le prove più eloquenti sono apparse durante i lavori di rettifica dell’alveo dell’Ippari, compiuti dal Genio Civile nel primo decennio di questo secolo…

Quasi sotto la cava di gesso venne allora riconosciuto un grande scarico di materiali architettonici d’ogni maniera, il quale comprendeva anche frammenti d’insigni terrecotte plastiche[6]. “Sono -mi scrive l’Orsi- rulli di colonne e capitelli dorici di sagome e moduli svariati; basi ioniche; dei misteriosi pezzi simili ad enormi turacci di vini spumanti; pezzi di corniciature; metà d’una stranissima base di grandissimo cippo con zampe leonine che serrano dei fogliami d’acanto. Un materiale complesso e svariato che dal VI va al IV secolo”. […] Quel materiale che è stato rinvenuto nel letto dell’Ippari deriva pertanto, è vero, dalle macerie delle tante distruzioni della città; ma dovette essere, come pensa l’Orsi “raccolto e gittato alla rinfusa nel fiume, come per formare un repellente”, od anche, com’è probabile, per colmare gorghi della palude. Costituisce in ogni modo un documento appunto di bonifica», che Pace esclude possa essere avvenuto non a causa della distruzione operata dai Mamertini nel 275 a.C. o dai Romani nel 258 a.C., ma durante il IV secolo, per le caratteristiche dei materiali gettati.

«La bonifica o il prosciugamento antico se mai avvenne, con l’abbandonato regime delle acque andò in rovina, ed il Pantano di Camarana risorse, famoso per le sue tinche; e rimase fino ai primi anni del secolo presente, quando fu prosciugato interamente, restituendo la salute alla plaga già infetta. Questo Pantano constava di un tratto, verso mare subito dietro le dune, che restava sempre sommerso ed era propriamente detto il Pantano o Biviere grande di Cammarana; ma anche le vicine terre della Salina e in parte della Buffa spesso impaludavano nell’inverno. Un altro lago, salato dalle acque del mare che vi giungevano nei giorni di tempesta, rimaneva staccato dal primo a nord e si chiamava il Salito. L’Ippari, oggi, poveramente sfocia ai piedi della collina su cui sorse la città di Camarina. E prima delle bonifiche recenti era ancor meno vistoso. […] Senonché quest’aspetto modesto della foce non è certamente da riferire al periodo in cui Camarina esisteva, o almeno in cui essa fioriva. E’ stata opinione generale che la città avesse comunque un porto ed ancoraggio. […] Il Fazello allude chiaramente a grosse opere costruite, ai piedi della collina, nelle quali egli riconosce il porto. Egli dice: “Il litorale marino su cui essa si affaccia era abbellito dalla presenza di moli, oggi lesionati, che, poggiati anche sul fondo del mare e grandi più di tutti quelli ch’io abbia mai visto altrove, venivano a formare un porto artificiale. Ma nel 1554, quando venni per la seconda volta a Camerina per fare le mie ricerche, trovai questi avanzi spogli di tutti i segni di antichità, trasportati da lì nella cittadella di Terranova, e privati dei loro ornamenti”».

Nonostante il pensiero di Schubring, che negava l’esistenza di un porto, l’Orsi pensava all’esistenza di un canale navigabile che collegasse il mare alla palude, usata come bacino interno, ma non era sicuro di questa ipotesi per la scarsa profondità. Pace invece ne è sicuro:

«Il Columba ha messo in rilievo una preziosa testimonianza di Camillo Camiliani[7], ingegnere portuale il quale visitò le spiagge di Sicilia verso l’anno 1584 per incarico del viceré Colonna. Il Camiliani segnala alla foce di Camarina un “canale artificiosamente cavato e profundato nella rocca, che le galeotte possono accostarsi tanto dentro, che senza sbarcare possono comodamente far l’acquata, ed è di tanta abbondanza, che sessanta galere con prestezza ne posso pigliare il lor bastevole”. Per quanto l’aspetto presente dei luoghi ci lasci perplessi su qualche particolare -là dove per esempio si parla di roccia- non si può negare un valore decisivo a questa testimonianza, la quale ha avuto ora prove di fatto inoppugnabili. Nel tracciare il nuovo letto dell’Ippari, nell’inverno-primavera 1905, gli scavi misero allo scoperto, ad una certa profondità, per tutto il tratto a valle della cava del gesso, una grande quantità di conchiglie le quali attestano indiscutibilmente che le acque qui erano assai profonde. In questo tratto s’avvistarono anche alcuni ruderi…Sono robustissime strisce di muro che muovono dalla ripa destra e s’internano dentro il letto attuale del fiume, che manifestamente segue l’antico. Queste strisce sono equidistanti l’una dall’altra circa 7 metri e costruite di robusti squadroni d’arenaria “giuggiulena” intrecciati di punta e taglio e con uno spessore medio di m. 1,40…la loro forma risulta “a pettine”…La forma “a pettine” sembra alludere, a mio parere, piuttosto chiaramente a panchine di caricamento…». I resti di un edificio rinvenuti a 150 metri a valle della cava di gesso, farebbero pensare ad una struttura collegata col porto. Pace ne deduce anche che in antico il corso del fiume era alquanto discosto dalla collina (cosa confermata dalle mappe catastali del 1937, che indicano il vecchio corso). «La scoperta di questi avanzi di opere portuali, conferisce speciale valore alla tradizione da me raccolta fra persone vecchissime del posto che, lungo la ripa destra dell’Ippari, esisteva fino a non molto tempo addietro -e giace forse ancora in parte coperta dalle sabbie degli altissimi macconi- tutta una rete di fondazioni di edifizi e di strade. Saremmo di fronte ad un vero sobborgo commerciale e marinaro, sviluppatosi in quella bassura a nord-ovest della collina camarinese, oggi invasa dai macconi. Di questo sobborgo o proásteion è indizio importante la necropoli scoperta nella breve terrazza a nord, oggi occupata dal piccolo cimitero di Scoglitti…». Dunque, dove oggi sorge il cimitero, sulla sponda settentrionale dell’antica palude, per Pace sorgeva un sobborgo di Camarina. Le intuizioni di Orsi, le riflessioni di Pace in merito all’esistenza del porto, più precisamente di un porto-canale, furono poi tutte confermate dagli scavi fatti dal 1958 in poi. Così leggiamo nel terzo volume di Camarina, guida didattica del Museo Regionale:

«La prosperità dei commerci della città di Camarina deve essere stata da sempre legata alla funzionalità del suo approdo principale. Le ricerche archeologiche condotte fino ad oggi permettono di affermare che per Camarina si debba parlare piuttosto di un porto-canale, un porto cioè che, grazie all’antica navigabilità del fiume, ne sfruttava l’ampio alveo. Ultimamente è stata riportata alla luce una poderosa struttura artificiale di protezione alle forti correnti che caratterizzano questo tratto di costa: si tratta di un antemurale lungo circa m. 300, sistemato, con orientamento Est-Ovest, in maniera perpendicolare alla costa. E’ questa, dopo la scoperta all’inizio del secolo di una serie di banchine portuali di caricamento e di altre tracce riferibili a depositi e a “emporia”, una ulteriore riprova dell’esistenza, oltreché del porto fluviale alla foce dell’Ippari, di tutto un quartiere portuale e commerciale suburbano, la cui necropoli di appartenenza sembra essere quella a Nord [presso il cimitero] di Scoglitti». Uggeri però nel foglio 275 (Scoglitti), redatto per la Carta Archeologica d’Italia nel 1974, mette in dubbio tale supposizione e afferma invece che la necropoli settentrionale fosse direttamente al servizio dela città e non di un presunto sobborgo marinaro.

 

 

 

NOTE

1] cfr. Paolo Monello, Le Carte Costituzionali, 2007.
2]«Appare da lontano Camerina, cui i fati non concessero mai di cambiar luogo».
3]«Camerina cui, per volontà dei fati, non fu mai permesso di spostarsi».
4] Credo che nelle parole cisposi e barbieri vada riconosciuta una punta di veleno verso il lavoro di Gian Luca Barberi…
5]Ancora nel 1611 è confermata la notizia riferita da Fazello sull’ottima qualità di anguille che si pescavano a Cammarana: lo leggiamo infatti in un documento studiato dal prof. Enzo Sipione (ripreso da Zarino 1988), relativo alle spese sostenute per vitto e alloggio dai funzionari comitali in occasione di un’assegnazione di terre e che riferisce una spesa di tarì 13 per «per anguille fresche comprate a Cammarana e pesce».
6] A pag. 82 scrive Pace:«La fanghiglia ha qui restituito…un colossale tegolone, heghemón kalyptér, di terracotta con tracce di parziale policromia, recante la figura di un cavallo col suo cavaliere, opera di coroplastica della seconda metà del sec. VI av. Cr., la quale doveva decorare come acroterio il fastigio di un edifizio. Essa oggi, trovasi ricomposta nel Museo di Siracusa. Il pezzo è lungo cm. 98 e alto cm. 96» 
7]Scrive Camiliani: «Questo fiume…E’ vicino al lito mezzo miglio, e viene abbracciato da un argine di maniera, che forma un lago di circuito di un miglio e mezzo in circa, abbondantissimo di pescame; ed aumentato di più di venti altri fonti, trabocca da una parte, dove ci vien fatto il passo, che poi viene a sboccare in mare. Alla foce del qual fiume c’è un canale artificiosamente cavato e profundato nella rocca, che le galeotte possono accostarsi tanto dentro, che senza sbarcare possono commodamente far l’acquata; ed è di tanta abbondanza, che sessanta galere con prestezza ne possono pigliare il lor bastevole».

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